EXPOWALL, la nuova galleria di
fotografia aperta da Pamela Campaner e Alberto Meomartini a Milano in via Curtatone 4, ospiterà dal 18
febbraio al 5 marzo il lavoro di Michele Nastasi “Città Sospesa. L’Aquila dopo
il terremoto”.
A quasi
sette anni dal sisma del 6 aprile 2009 le fotografie dell'Aquila di Michele
Nastasi traguardano la catastrofe del terremoto e raccontano di una
città ancora oggi sospesa tra la vita e la mancata ricostruzione sociale e
civile. Gli interventi di messa in sicurezza nella Zona Rossa, il centro
storico deserto, sgomberato subito dopo il terremoto e puntellato durante
l'anno successivo, evocano un immaginario medico e si traducono in protesi,
bendaggi chirurgici, busti e apparecchi ortodontici, che non hanno ancora
guarito la citta̍ malata e sembrano, al contrario, impedirle di tornare
pienamente a respirare. Certo non dobbiamo dimenticare la violenza del
sisma e la sua estensione, ma le fotografie di Michele Nastasi sembrano
suggerire - e la metafora non è forzata - che la città non sia tanto
salvaguardata, ma come contenuta da una terribile camicia di forza.
Questo
lavoro di Nastasi, pubblicato nel 2010 su Lotus International, esposto
al MIT di Boston e oggi riproposto da Expowall, non figura come una denuncia gridata,
ma come un insieme di importanti domande sul senso del vivere in città e in
una comunità. Quella che
pare una "impossibilità di abitare", per dirla con Giorgio Agamben
che ha firmato la prefazione del libro in cui è raccolto il lavoro, Citta
sospesa: l'Aquila dopo il terremoto (edito da Actar nel 2015 a cura di
Maddalena d’ Alfonso), fissa “lo stato di eccezione come nuovo paradigma”,
un "laboratorio perverso" come lo definisce Tomaso Montanari
su Repubblica, che accelera lo svuotamento delle città storiche e pone un
inquietante interrogativo sul futuro della cultura urbana europea.
Per
queste importanti ragioni e per la loro grande capacità espressiva le
fotografie di Michele Nastasi sono state scelte per arricchire il percorso che
Expowall sta dedicando al paesaggio urbano: esse ci invitano a una riflessione sul rapporto tra la
nostra contemporaneità e la storia, tra l’accettazione degli interventi
post-sisma e la disperata necessità di una ricostruzione sociale, tra
l’architettura e il silenzio che la abita.