Dal 6 al 10 marzo al Teatro India
in scena Il cielo non è un fondale della coppia d’arte Deflorian/Tagliarini.
In una metropoli di tutti e di nessuno, che si porta appresso bagliori di Roma, di Milano, di Londra,
appaiono e scompaiono le figure una barbona che assomiglia a Daria, di Alom, il venditore di rose che un tempo era un generale nell’esercito del Bangladesh,
di Mohamed l’aiuto-cuoco pakistano. Quattro persone – Francesco Alberici, Daria Deflorian, Monica Demuru, Antonio Tagliarini – slittano continuamente
fino alla soglia di figure intraviste che non potranno mai essere, dando vita a un atto drammatico “senza trama
e senza finale” che si avventura alla ricerca di chi sono gli altri in noi e di chi siamo noi negli altri.
IL CIELO NON È UN FONDALE
uno spettacolo di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini
uno spettacolo di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini
con Francesco Alberici, Daria Deflorian, Monica Demuru e Antonio Tagliarinicollaborazione al progetto Francesco Alberici e Monica Demurutesto su Jack London Attilio Scarpellinimusiche Lucio Dalla, Mina, Georg Friedrich Händel, Lucio Battisti - la canzone ‘La domenica’ è di Giovanni Truppi
assistente alla regia Davide Grillo - disegno luci Gianni Staropoli con la collaborazione di Giulia Pastore
costumi Metella Raboni - costruzione delle scene Atelier du Théâtre de Vidy - direzione tecnica Giulia Pastore
accompagnamento e distribuzione internazionale Francesca Corona - organizzazione Anna Damiani
assistente alla regia Davide Grillo - disegno luci Gianni Staropoli con la collaborazione di Giulia Pastore
costumi Metella Raboni - costruzione delle scene Atelier du Théâtre de Vidy - direzione tecnica Giulia Pastore
accompagnamento e distribuzione internazionale Francesca Corona - organizzazione Anna Damiani
Produzione Sardegna Teatro, Teatro Metastasio di Prato, Emilia Romagna Teatro Fondazione
in coproduzione con A.D., Odéon – Théâtre de l’Europe, Festival d’Automne à Paris,
in coproduzione con A.D., Odéon – Théâtre de l’Europe, Festival d’Automne à Paris,
Romaeuropa Festival, Théâtre Vidy-Lausanne, Sao Luiz – Teatro Municipal de Lisboa,
Festival Terres de Paroles, théâtre Garonne, scène européenne – Toulouse
con il sostegno di Teatro di Roma – Teatro Nazionale in collaborazione con Laboratori Permanenti/Residenza Sansepolcro,
con il sostegno di Teatro di Roma – Teatro Nazionale in collaborazione con Laboratori Permanenti/Residenza Sansepolcro,
Carrozzerie NOT/Residenza Produttiva Roma, fivizzano27/ nuova script ass. cult. Roma
PREMIO UBU 2017 A GIANNI STAROPOLI PER LUCI E ALLESTIMENTO SCENICO
Dal 6 al 10 marzo debutta al Teatro India la creazione della coppia d’arte Daria Deflorian e Antonio Tagliarini con IL CIELO NON È UN FONDALE portato in scena assieme a Monica Demuru e Francesco Alberici, sotto il disegno luci di Gianni Staropoli (con la collaborazione di Giulia Pastore), vincitore del Premio Ubu 2017 per Luci e Allestimento Scenico. IL CIELO NON È UN FONDALE parte da un sogno che è a sua volta generato da una canzone. È lì, tra il buio e il corpo della musica che inizia il vero, paradossale lavoro del teatro: sognare gli altri assieme a loro, in uno spazio scenico vuoto che si ingrandisce e si restringe, come l’architettura, a un tempo contratta e smisurata, della nostra mente. In questo luogo sospeso, Antonio racconta di aver sognato Daria nei panni di una barbona e, pur avendola riconosciuta, di essere passato oltre; quel gesto innesca una ritmica di incontri e di misconoscimenti, di cadute e di incidenti, di parole e di canzoni, scandita da due sentimenti contraddittori: la paura di essere noi stessi l’altro, l’escluso, “l’uomo che mentre tutti sono al riparo resta da solo sotto la pioggia” e il desiderio di metterci, per una volta, al suo posto. Ma come conciliare la compassione e un’obesità dell’io che non resiste alla tentazione di sostituire a ogni storia la propria? In scena quattro persone slittano continuamente fino alla soglia di figure intraviste che non potranno mai essere dando vita a un atto drammatico “senza trama e senza finale” (come suggeriva Cechov a un giovane autore) che si avventura alla ricerca di chi sono gli altri in noi e di chi siamo noi negli altri. In una metropoli di tutti e di nessuno, che si porta appresso bagliori di Roma, di Milano, di Londra, appaiono e scompaiono le figure di Alom, il venditore di rose che un tempo era un generale nell’esercito del Bangladesh, di Mohamed l’aiuto-cuoco pakistano, della vera barbona incrociata nel giardino del sogno e che assomiglia a Daria, e poco importa se siano ricordi di autentici incontri o fantasmi rimasti impigliati a una fotografia ingiallita scattata nel 1902 ai proletari dell’East End londinese addormentati in un parco. A dar loro una forma è il corpo delle canzoni presenti nello spettacolo, di una soprattutto, La domenica di Giovanni Truppi, che, sciolta nei dialoghi, diventa il simbolo dell’impossibilità di trasformare la vita quotidiana in una mera idealità. Anche perché come dice alla fine la canzone “va a finire sempre che la domenica la gente litiga”.
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