Nella
zona di Asgita, nella vasta regione etiope dell’Afar, a pochi metri dalla
stretta e a volte dissestata arteria che lungo quasi 900 chilometri collega il
porto di Djibouti e la capitale Addis Abeba, da 5 mesi sono fortunosamente
accampate 500 famiglie di pastori che a causa della siccità hanno perso gran
parte delle loro bestie e hanno dovuto lasciare le loro terre in cerca di
assistenza.
Le
loro capanne sono fatte con quanto l’arida natura circostante ha permesso e le
poche cose che si sono potuti portare fin lì. Si sono sistemati lungo la
strada, a 7 chilometri dal piccolo agglomerato di Gewane perché vi hanno
trovato una fonte d’acqua che permette un minimo di approvvigionamento per loro
stessi e i pochi animali che gli restano e - semplicemente - perché non avevano
alternative. Qui l’acqua copiosa ha creato un’ampia palude che si distende a
vista d’occhio nell’arido territorio del nord dell’Etiopia.
L'acqua
è vita
Le
regioni dell’Afar e del Tigre stanno patendo gli effetti della peggiore siccità
degli ultimi decenni: in alcune zone i raccolti sono meno della metà della
norma, in altre non hanno prodotto niente; e probabilmente centinaia di
migliaia di capre, pecore, vacche e cammelli sono già periti. Tra i mesi di
giugno e ottobre, la stima del numero di persone che in Etiopia patiscono gli
effetti della siccità era già raddoppiata, toccando la cifra di 8,2 milioni.
Oggi si parla di dieci milioni di persone a rischio e, a seconda dell’andamento
del clima, da qui ai prossimi 4 mesi questa cifra potrà raggiungere i 15
milioni di persone - su di totale di 100 milioni di etiopi.
Patiscono
i contadini, patiscono i pastori, e patisce chi vive nelle città, perché la
carenza di derrate alimentari, di carne e di latte sta provocando una forte
inflazione anche nelle zone urbane.
Il
dramma dei pastori
Ad
Agita, Ahmed, uno degli anziani, mi ha detto di aver perso 55 capre e 30 vacche
e di avere ancora solo 6 capre e 2 vacche, troppo poco per far tirare avanti la
famiglia, visto che da sempre gli Afar dipendono dal latte delle proprie
bestie; oggi, insieme agli altri sfollati della zona, dipende in tutto e per
tutto dal governo, che fornisce ai bisognosi farina ed olio. Essendo nato e
vissuto nomade ed indipendente, ad Ahmed questo dover contare sugli aiuti
governativi pesa parecchio, e potendo ne farebbe a meno, ma deve restare per
evitare di perdere quanto gli rimane e di mettere a rischio la vita di tutta la
famiglia.