La programmazione di Febbraio 2015
13
febbraio Film maledetti: OcchioPinocchio e I cancelli del cielo
14
febbraio Cinema e psicanalisi: Un mondo precario
15
febbraio Cineteca Classic: Louis Malle
15
febbraio Striplife: Un giorno a Gaza
15 febbraio Fatti e strafatti
17 febbraio Omaggio a Francesco Rosi
18 - 22
febbraio Massimo Girotti: Cronaca di un attore
Venerdì 13 febbraio
Film maledetti: OcchioPinocchio e I cancelli del cielo
Ricordato
oggi essenzialmente come una catastrofe commerciale di portata storica, Heaven’s
Gate fu distribuito in Italia solo nella versione massacrata al montaggio
da un Michael Cimino in preda al panico, mentre la Director’s Cut che ne
consentì la doverosa e tardiva rivalutazione è rimasta per anni accessibile ai
soli spettatori disposti ad affrontarne la visione in lingua originale
sottotitolata. Frutto di una laboriosa e attenta risincronizzazione,
sull’edizione integrale restaurata, delle battute italiane disponibili in
entrambe le versioni, e completata da nuovi sottotitoli per le scene presenti
nella sola Director’s Cut, l’edizione approntata da Alberto Farina per
Rai Movie consente per la prima volta di confrontare i due Heaven’s Gate
in trasparenza per valutare l’entità degli interventi inferti negli anni
Ottanta e riscoprire un capolavoro controverso e maledetto.
Alla ricerca di un film italiano da accostare a Heaven’s Gate per ambizioni e
difficoltà produttive, la scelta è caduta su OcchioPinocchio di
Francesco Nuti, che, se rivisto oggi, a vent’anni di distanza, con maggior
serenità d’animo ed equilibrio, può regalare delle imprevedibili sorprese...
Ore 17.30 OcchioPinocchio di Francesco Nuti (1994, 139’)
«Supercult
pinocchiesco. Disastro produttivo, ma anche affascinante tentativo autoriale
megalomane di un comico al massimo del suo successo pronto a giocarsi tutto.
Film bizzarro, difficilmente collocabile nel panorama italiano, difeso
strenuamente da Nuti, che ci ha speso tre anni di lavoro, scrivendolo,
dirigendolo, interpretandolo e parzialmente producendolo, portandolo a termine
un anno dopo la sua prevista uscita di Natale ’93. Ma soprattutto è un caso,
rarissimo nel nostro di cinema, di film monstre, di eccesso autoriale che si
scontra con il potere della produzione, rappresentata in questo caso dalla
coppia Cecchi Gori-Berlusconi [...]. A novembre del 1993, infatti, il film
venne interrotto (“per la mia ‘probabile labilità’, questa è la causa ufficiale
che ho letto. Ma io stavo benissimo” dice Nuti), gli studi vennero smontati e
sembrò che tutto il progetto andasse in fumo. Le tesi erano diverse. Si parlava
di eccessi di spese di lavorazione, di follie registiche [...]. A un anno
esatto di distanza, Francesco Nuti riesce a riprendere in mano il suo film, a
terminare le riprese e a lanciarlo in sala per Natale. [...] Il film è troppo lungo,
non ben funzionante, perché si passa dall’eccesso iniziale di film alla Cimino
a un minimalismo pieraccioniano. Il pubblico non ci va, ha capito che siamo di
fronte a un’operazione Joan
Lui, e non è interessato a un Nuti-Pinocchio, al comico che vuole far
l’autore, vuole le vecchie storie comiche-romantiche. E Pieraccioni è dietro
l’angolo. Nuti, comunque, riuscirà a risollevarsi dal suo Occhiopinocchio,
che rimane a tutti i livelli un film di culto, eccessivo e bizzarro» (Giusti).
Ore
20.00 Heaven’Gate di
Michael Cimino (I
cancelli del cielo, 1980, 219’)
«Wyoming,
1890: ricchi baroni del bestiame assoldano dei mercenari per sterminare i
poveri contadini immigrati, ladri presunti e comunque per necessità. […]
Atipico, maestoso e curatissimo western (sceneggiato dallo stesso Cimino), che
contemporaneamente celebra e distrugge il mito della frontiera. Determinò il
fallimento della United Artists, che spese 44 milioni di dollari incassandone 1
e mezzo, e stroncò la carriera di Cimino, sottoposto a ostracismo dalle vaie
major (per paura di disavventure produttive) e al linguaggio ideologico da
parte della critica Usa per l’attacco frontale al Sogno Americano. Tempi
lunghi, storia “incoerente” e ritmo fluviale non sono difetti ma virtù di
questo film maledetto, che lascia senza fiato anche per la straordinaria
fotografia di Vilmos Zsigmond» (Mereghetti).
Per
gentile concessione di Metro Goldwyn Mayer e in collaborazione con Rai Movie.
Ingresso gratuito
Ingresso gratuito
Sabato 14 febbraio
Cinema e psicanalisi: Un mondo precario
Cinema
e Psicoanalisi hanno diversi punti in comune: nati e sviluppatisi nello stesso
periodo storico, hanno continuato ad influenzare, con la propria ricerca, la
cultura e l’arte da versanti diversi. Partendo da un incontro fecondo
d’interessi, la Società Psicoanalitica Italiana e il Centro Sperimentale di
Cinematografia hanno da alcuni anni avviato delle iniziative comuni, tra cui il
ciclo “Cinema e psicoanalisi”, articolato con delle proiezioni mensili al Cinema
Trevi, giunto alla quinta edizione. Il tema della programmazione 2015 è un
argomento di drammatica attualità: la precarietà. La psicoanalisi se, da un
lato, si è sviluppata partendo dallo studio dei processi psichici che
strutturano la nostra vita mentale, d’altra parte ci interroga anche su come
certe condizioni di disagio, anche esterno, finiscono per interagire con i
nostri livelli più profondi in un rimando tra realtà interna e mondo reale. Con
tali presupposti il tema della precarietà verrà affrontato nei diversi terreni
in cui emerge come la vecchiaia, la sessualità, la malattia, l’adolescenza, ma
anche nelle situazioni sociali legate alle difficoltà nel mondo del lavoro e in
quello dei migranti. Parteciperanno agli incontri (introdotti e coordinati da
Fabio Castriota, Membro Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana)
registi, critici e psicoanalisti.
Ore
17.00 Comizi d’amore di Pier Paolo Pasolini (1964, 93’)
«Nel
1963 Pasolini girò un film-inchiesta sulla sessualità, percorrendo tutta la
penisola, dalle grandi città alle campagne e chiedendo a passanti, contadini,
operai, calciatori famosi, studenti, commercianti, a persone comuni
appartenenti a diversi ceti sociali, che cosa ne pensassero dell’erotismo e
dell’amore. Dalle risposte degli intervistati, soprattutto quelli di estrazione
borghese, uscì un’immagine complessiva del nostro Paese ipocrita, costituita di
frasi fatte e di luoghi comuni; le persone appartenenti a classi sociali meno
abbienti fornirono risposte più spontanee» (Angela Molteni).
Ore
18.45 Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci (1972, 129’)
Un
uomo di mezz’età e una ragazza si incontrano casualmente in un appartamento in
affitto, che farà da scenario a travolgente relazione sessuale e, in
controluce, umana. «Ero partito per fare un film su una coppia, ma invece ho
fatto un film su due solitudini. Esattamente nel momento in cui Maria sorpassa
Marlon per strada e si volta a guardarlo, ho compreso che ciascuno dei due era
condannato alla solitudine» (Bertolucci). «La prima di Ultimo Tango a Parigi […] ha avuto
luogo in chiusura del New York Film Festival, il 14 ottobre 1972. Questa data
dovrebbe diventare una pietra miliare nella storia del cinema […]. Questo
dev’essere il più potente film erotico mai realizzato, e potrebbe diventare
anche il film più liberatorio che ci sia […]. Ho cercato di descrivere
l’impatto di un film che ha lasciato in me l’impressione più forte in quasi
vent’anni di carriera. Questa è una pellicola di cui la gente continuerà a
dibattere, credo, finché esisteranno i film» (Pauline Kael).
Ore 21.00 Incontro con Carla Dugo Visco e Salvatore
Piscicelli, moderato da Fabio Castriota.
A seguire Il
corpo dell’anima di Salvatore Piscicelli (1999, 110’)
«Ernesto, ricco vedovo di 64 anni senza figli,
abita da solo in una grande casa di un quartiere borghese di Roma. Da solo
passa anche gran parte delle giornate, vivendo la solitudine come scelta
consapevole e in fondo soddisfacente. Sceneggiatore per il cinema, inattivo da
tempo, accetta la proposta di un regista pubblicitario di lavorare ad un
copione sulla vita di Teresa d’Avila. Venutagli a mancare la cameriera
filippina, Ernesto assume la giovane Luana, che si occupa delle pulizie del
condominio. Luana è ignorante e goffa, vitale e sensuale, tanto efficiente sul
lavoro quanto seduttiva nei movimenti e negli atteggiamenti. Ernesto si sente
sempre più attratto da lei, e la convince ad allungare l’orario di lavoro con
permanenze anche notturne». «Il napoletano Salvatore Piscicelli, che
dell’autore è tra i pochi nel cinema italiano di oggi a conservare intatto il
pedigree (e della creatività napoletana è portatore da molto tempo prima che
questa diventasse un fenomeno alla moda), ha realizzato un’opera coraggiosa,
un’opera probabilmente non riuscita del tutto ma semplice e complessa al tempo
stesso come sono sempre le opere che esprimono autenticità, che mette in scena
ciò cui di solito il cinema artistico allude soltanto». (D’Agostini). Ingresso
gratuito
Domenica 15 febbraio
Cineteca Classic: Louis Malle
Primo
appuntamento dedicato a uno dei cineasti francesi più antiborghesi nella storia
del cinema d’Oltralpe. «Grande borghese nemico della borghesia, in venti film
narrativi e otto documentari importanti, da Les amants (1958) a Il
danno (1992), con calma eleganza Malle ha violato i tabù inviolabili:
l’alta condizione sociale e la mistica della maternità sconfitte dalla passione
carnale improvvisa, l’incesto tra madre e figlio raccontato come un gioco
occasionale e lieve, la naturalezza d’una prostituta dodicenne in un bordello
americano, la scelta fascista durante l’occupazione in Francia da parte d’un contadino
diciassettenne descritta come un percorso comprensibile, le pulsioni
rivoluzionarie borghesi del Sessantotto irrise, l’Edipo capovolto. Nato nel
Nord della Francia, terzo dei sette figli d’una famiglia di ricchi industriali
d’origine alsaziana, educato in un collegio di Gesuiti e nel collegio di
Carmelitani vicino a Fontainebleau evocato in Arrivederci ragazzi,
obbligato nell’adolescenza a vivere isolato e protetto a causa d'una
insufficienza cardiaca (Soffio al cuore), Malle è precoce: “Ho letto Gide
a tredici anni”. A diciassette anni si iscrive all’Idhec, la scuola parigina di
cinema (il suo film-diploma di cinque minuti mostra, come La mia cena con
André, due persone in attesa di qualcuno che non arriva) e comincia presto
a lavorare come assistente di Jacques Cousteau per Il mondo del silenzio.
A venticinque anni dirige il suo primo film, Ascensore per il patibolo:
è già sposato con Anne-Marie Deschodt, da cui divorzia per poi risposarla e
infine separarsene; nel 1980 ha sposato Candice Bergen. […] “Non so cosa sia il
cinema politico. Credo che i film d’autentica importanza politica non siano
quelli militanti, il cui unico scopo è confermare una posizione già acquisita,
una retorica già esistente, ma quelli che scuotono, che turbano, che obbligano
alla riflessione”, afferma Louis Malle. Il regista lo diceva nel 1976. Diceva
anche: “Io non credo alla democrazia, non ci ho mai creduto. è una parola che
corrisponde a una realtà in cui la classe dominante può permettersi il lusso di
dare l’impressione che sia il popolo a governare. Ma non è il popolo che
governa, si sa benissimo...”» (Tornabuoni).
Ore
17.00 Il danno di
Louis Malle (1992, 111’)
Stephen
Fleming, un cinquantenne conservatore inglese, sottosegretario del Governo di
sua Maestà ha una quieta e gradevole moglie (Ingrid), un figlio giornalista
(Martyn) e una splendida casa. Il giorno in cui conosce Anna Barton, la giovane
fidanzata del figlio, è immediatamente attratto da lei: è un delirio e una
follia perché gli incontri amorosi con la donna si ripeteranno. «Poche volte si
è vista riprodotta con tanta esattezza l’urgenza, la tenerezza, la ferocia di
quel sentimento sempre così difficile da rappresentare che è l’amore fisico.
Mentre resta volutamente ambiguo il senso della parabola» (Ferzetti).
Striplife: un giorno a Gaza
«Striplife è un film corale che racconta la striscia di
Gaza. Nell’arco narrativo di una giornata, le storie dei personaggi si fondono
alla descrizione del contesto ambientale. Uomini e donne che resistono, capaci
di tenerezza e sorrisi, determinati a non soccombere a condizioni di vita che
appaiono impossibili. Il film nasce da un progetto collettivo ed è stato
realizzato da videomakers italiani e palestinesi, condividendo idee, storie,
visioni e competenze tecniche. Non un film su Gaza, ma con Gaza» (dalle note di regia di Striplife).
Ore 19.00 Striplife - Gaza in a day di Nicola Grignani,
Alberto Mussolini, Luca Scaffidi, Valeria Testagrossa, Andrea Zambelli (2013, 60’)
Striscia
di Gaza. Un evento inspiegabile è avvenuto durante la notte: decine di mante si
sono arenate sulla spiaggia principale di Gaza City. Carretti di pescatori
accorrono su tutta la Striscia per accaparrarsi pesce fresca. Intanto la città
si sveglia. Antar sprona il fratello ad alzarsi, è il grande giorno, nel
pomeriggio inciderà il suo primo disco. Noor si trucca, dovrà apparire davanti
alle telecamere. Jabber è già nel campo. Gli spari dei fucili gli ricordano che
vive nella zona cuscinetto che separa Gaza da Israele. Un corteo si snoda per
le strade. Moemen è lì per fare il suo lavoro, il fotografo. Al porto una barca
rientra con lo scafo trivellato dai proiettili. Il canto del muezzin invade lo
spazio, moltiplicato dai minareti. Come in un sogno, i ragazzi del Parkour Team
piroettano in un cimitero. La vita nella Striscia si snoda fino a notte.
Distribuito da Lab 80 Film.
Per
gentile concessione di Lab 80 Film - Ingresso gratuito
Fatti e strafatti
«Immagino
tutti ricordiate Sabrina di Billy Wilder, un capolavoro irripetibile.
Nel 1995 ne fu fatta una nuova versione firmata Sydney Pollack con Harrison
Ford nella parte che fu di Bogart. Con tutto l’amore che nutro per Pollack, non
riuscii a terminarne la visione. Uscii dal cinema con le paturnie chiedendomi
che senso ha rifare una cosa che è perfetta. Sarà inesorabilmente una brutta
copia. In scultura vi sono molte rappresentazioni della Pietà, ma nessuno
ha mai pensato di rifare quella di Michelangelo, mentre nel cinema è normale
che i film riusciti siano soggetti a periodici tagliandi dove si sostituiscono
per intero i “pezzi”. Questa rassegna intende compiere una ricognizione nello
“sfasciacarrozze” della settima arte rovistando tra i pezzi originali dei più
acclamati modelli, quasi tutti “assemblati” durante l’era del Muto e, più che
“rifatti”, successivamente “strafatti”. Diciamo che è una rassegna vagamente
polemica, ma come sempre spinta dalla più appassionata e divertita curiosità.
Buona visione e buon ascolto» (Antonio Coppola).
Ore 21.00 La passion de Jeanne d’Arc di Carl Theodor Dreyer (La
passione di Giovanna d’Arco, 1928, 95’)
«Processo e morto sul rogo di Jeanne d’Arc (1412-31),
giovane contadina lorenese, concentrati in una sola giornata (14 febbraio
1431): la Pulzella d’Orléans raccontata come vittima e martire, donna che
soffre, opponendo intelligenza, umiltà e la sua solitudine ai giudici di Rouen.
Uno dei capolavori del muto, e un vertice nella carriera del danese Dreyer che
si serve del primo piano (quasi metà del film) per risolvere l’arduo problema
del film storico: col primo piano compensa il tempo con lo spazio e riporta al
presente lontani fatti storici: il volto umano come specchio dell’anima e del
suo destino. Fondato sulla plasticità dell’inquadratura e sui valori ritmici
del montaggio, è in un certo senso il capolavoro dell’espressionismo e, forse,
l’unico film espressionista non contaminato da elementi letterari e teatrali.
Splendido bianconero di Rudolf Maté» (Morandini).
Accompagnamento
musicale del M° Antonio Coppola
Martedì 17 febbraio
Omaggio a Francesco Rosi
Il
10 gennaio 2015 si è spento uno dei più grandi autori del cinema italiano,
Francesco Rosi. A tal proposito ha scritto lo storico Gian Piero Brunetta: «Tra
i registi del dopoguerra Rosi si inserisce in una grande linea – in cui si
collocano […] anche Welles, Huston, Losey, Kubrick, Kurosawa – di autori per
cui la vocazione realistica implica anche la capacità naturale di passaggio dal
piano della realtà a quello del sogno, senza soluzioni di continuità. Fellini e
Bergman fanno parte di un gruppo che si muove in direzione analoga, ma su
percorsi paralleli. […] I film di Rosi non hanno mai una struttura in cui
l’orizzonte si viene restringendo e per via di esclusioni venga improvvisamente
imboccata la strada che porta alla rivelazione finale degli enigmi e alla
risoluzione dei misteri. La scomposizione della linearità narrativa a favore di
una forma che si potrebbe chiamare a grafo sparso fa sì che lo spettatore venga
condotto lungo un percorso labirintico in cui sempre i processi di occultamento
e cancellazione della verità prevalgono sulla rivelazione. A mano a mano che si
avanza di fatto i nodi non si risolvono, né la verità si avvicina. Sia le cause
che le soluzioni si raddoppiano, si scompongono in un gioco di specchi e
rifrazioni, si dilatano ipertroficamente a ventaglio. I colpevoli non vengono
scoperti, le zone d’ombra sembrano occupare uno spazio crescente nella nostra
storia. Gli interrogativi senza risposta si moltiplicano. Che sia il contesto a
interessare Rosi si capisce presto: la figura di Giuliano, ad esempio, non è
soggetto drammatico dell’azione né viene mai ripresa direttamente. Lo si vede
di profilo, di spalle, a distanza, in campo totale, se ne sente la voce fuori
campo, ma il procedimento registico mira a illuminare cause ed effetti delle
sue azioni».
Ore
17.00 Salvatore Giuliano di Francesco Rosi (1962,
123’)
Subito
dopo la liberazione della Sicilia Salvatore Giuliano, già fuorilegge per aver
ucciso un carabiniere, costituisce una banda ed entra a far parte dell’esercito
separatista. Quando l’esercito viene sciolto Giuliano torna a essere un
bandito. «Bellissimo, intenso film; mai la Sicilia era stata rappresentata nel
cinema con così preciso realismo, con così minuziosa attenzione. E ciò
discendeva da un giusto giudizio – morale, ideologico, storico – sul caso
Giuliano» (Sciascia). «Secondo me, nessun regista, mai, è riuscito a ricreare
una realtà con tanta esattezza, con tanta potenza» (Soldati). Tre Nastri
d’Argento: film (ex aequo con Le
quattro giornate di Napoli), fotografia, musica.
Restauro
a cura della Cineteca di Bologna
Ore 19.15 Incontro con Roberto Andò, Fabrizio
Corallo, Raffaele La Capria, Stefano Rulli
moderato da Emiliano Morreale
Ore
21.00 Le
mani sulla città di Francesco Rosi (1963,
100’)
Nel
centro di Napoli alla vigilia delle elezioni amministrative crolla un palazzo e
alcune persone muoiono sotto le macerie. Scoppia uno scandalo e inizia
un’indagine della magistratura, che coinvolge un noto imprenditore, Edoardo
Nottola (Rod Steiger), candidato per un partito di destra. «È ammirevole che
con delle storie di immobili, di battaglie elettorali e di discussioni al
consiglio comunale, Rosi ci appassioni a questo punto. Si pensa a Preminger, al
suo vigore, alla solidità dei suoi racconti, ma Le mani sulla città, più mosso, più
serrato di Tempesta su Washington, emana anche più calore» (Jean-Louis Bory).
Leone d’oro al Festival di Venezia.
Copia
restaurata a cura della Cineteca Nazionale
18 - 22 Febbraio
Massimo Girotti: cronaca
di un attore
La Cineteca Nazionale rende
omaggio a Massimo Girotti, in occasione della pubblicazione della prima
monografia italiana a lui dedicata. «Quella di Massimo Girotti è una carriera
lunghissima fatta di traguardi passati spesso inosservati. Per capirne la misura
bisogna partire dal suo temperamento di uomo schivo e riservato, non alla
ricerca di facili successi ma bisognoso di rafforzare una propria solidità
umana e affettiva. Discosto dal cliché dell’artista “genio e sregolatezza”,
Girotti raramente si è allontanato dai saldi valori ai quali era stato educato.
E se proprio nelle scelte professionali ha dato prova di carattere
anticonvenzionale, nella vita privata Girotti ha invece mantenuto esemplarmente
equilibrio e semplicità, incarnando una sorta di regolarità nell’arte»
(dall’introduzione di
Roberto Liberatori, autore del libro
Massimo Girotti: cronaca di un attore, Teke Editori - Centro Sperimentale
di Cinematografia, 2015).
Mercoledì 18 febbraio
Ore
17.00 Knock-out! Harlem di Carmine Gallone (1943,
90’)
«Girotti è Tommaso Rossi, un giovanotto di
provincia dal volto paffuto e imberbe che si reca a New York per trovare il
fratello, Nazzari, imprenditore edile felicemente integrato nella comunità
italiana. Con una laurea in architettura nel cassetto si trasforma di punto in
bianco in Tom Ross, pugile di successo, dopo aver steso con un destro un famoso
pugile in un locale di Harlem. Con questo film Girotti torna ad essere
utilizzato per le sue capacità atletiche in un film voluto per propaganda
antiamericana e un po’ razzista» (Liberatori).
Ore
18.45 Un giorno nella vita di Alessandro Blasetti (1946, 117’)
«La vicenda di un gruppo di partigiani che
trova rifugio in un monastero di clausura, portandovi scompiglio e morte. […]
Girotti se la vede con un personaggio tormentato anima e corpo, reso con toni
di composta sofferenza. È il partigiano Monotti che, sdraiato su un lettino a
cui lo costringe una ferita, riconosce nella badessa Elisa Cegani la donna
amata in passato. Come il protagonista di una tragedia greca, consumato dai
sensi di colpa, Girotti matura la consapevolezza di non poter sfuggire alle
proprie responsabilità e con un pianto liberatorio implora il perdono della
donna, confessando di averle ucciso il marito» (Liberatori).
Ore 21.00 Incontro con Arnaldo Catinari, Liliana
Cavani, Massimo Guglielmi, Roberto Liberatori, Giuliano
Montaldo. Nel corso dell’incontro verrà presentato il libro di Roberto
Liberatori "Massimo Girotti: cronaca di un attore", moderato da Laura Delli Colli
A seguire
In nome della legge di Pietro Germi (1949,
100’)
«Il personaggio del pretore Guido Schiavi
inviato in Sicilia sembra un abito cucito su misura per lui: coraggioso e
altruista, incrollabile di fronte alle minacce e alla corruzione… quello che si
dice un personaggio attraente. La stessa struttura del film è capace di
avvincere lo spettatore e farlo partecipe delle vicende del protagonista, che
da una granitica risolutezza iniziale si ritrova contro tutti, ferito in un
attentato, ma tuttavia capace di risollevarsi e rinnovare il proprio impegno
contro il lassismo delle autorità e la violenza della mafia» (Liberatori). Ingresso
gratuito
Giovedì 19 febbraio
Ore
17.00 Idoli controluce di Enzo Battaglia (1965,
95’)
«Tutto italiano è invece il film Idoli controluce di Enzo
Battaglia, che, a metà strada tra fiction e documentario, porta sullo schermo
un momento di crisi nella carriera del calciatore Enrique Omar Sivori, che
segnerà il suo passaggio dalla Juventus al Napoli. Girotti vi interpreta il ruolo
di uno scrittore mondano e fascinoso, completamente estraneo al calcio,
incaricato dal suo editore di scrivere un libro sul fuoriclasse argentino. Il
film è sicuramente originale per le riprese e il montaggio, ma non sa decidersi
fino in fondo se intraprendere la strada dell’inchiesta sul mondo del pallone o
abbracciare il racconto delle vicende private dello scrittore» (Liberatori).
Ore
19.00 Cronaca di un amore di Michelangelo Antonioni (1950, 102’)
«Cronaca di un amore mostra […] la consapevolezza che Girotti
aveva della propria personalità cinematografica, della propria capacità di
rendere credibili personaggi più complessi e inquietanti, uomini spinti da
conflitti psicologici a vivere in uno stato di confusione. Come il personaggio
di Guido Garroni, un uomo dalla debole volontà che per amore si lascia irretire
da una donna ricca e annoiata nei suoi torbidi piani di morte. Un ruolo che
ricorda, per qualche verso, quello viscontiano di Gino, proprio per la
fragilità di carattere e per l’umanità e il bisogno di redenzione che lo
rendono più accettabile rispetto alla figura della donna. Girotti si presenta
nel film con un’immagine diversa, nell’insieme più matura ma anche meno
seducente che in passato: i capelli bruni e composti, lo sguardo spento, l’abbigliamento
cittadino a conferirgli un aspetto anonimo e conformista» (Liberatori).
Ore
21.00 Ossessione
di Luchino Visconti (1943,
140’)
«Ossessione, che prende spunto dal romanzo americano Il
postino suona sempre due volte di James M. Cain, racconta la storia di due
amanti diabolici che progettano un omicidio, ambientata nella provincia tra
Ancona e Ferrara. […] L’immagine di Girotti era legata a quella di eroe
positivo, dal fisico forte e gentile e l’animo virtuoso. Per il pubblico è
Arminio, o il pilota Rossati, riconoscibile per gli occhi chiari e la
corporatura da gladiatore moderno, piuttosto che per la qualità delle
interpretazioni. Visconti offre a Girotti il destro per cambiare corso alla
carriera, e lui si abbandona fiducioso nelle mani dell’amico» (Liberatori).
Venerdì 20 febbraio
Ore
17.00 Scusi,
facciamo l’amore di Vittorio Caprioli (1968,
92’)
«La stessa cosa accade di lì a poco a Girotti
nel film Scusi,
facciamo l’amore, diretto da Vittorio Caprioli, con il suo ruolo del
“signorino” Alberto Tassi, un attempato gigolò che ha costruito la propria
fortuna come amante di ricche e annoiate signore della borghesia milanese.
Nella sequenza in cui dà consigli sulle migliori piazze in cui trovare una
sistemazione al più giovane Pierre Clementi, Caprioli fa quello che Visconti
aveva fatto con la Mangano [ne La strega bruciata viva, episodio de Le
streghe, n.d.r.]: prende Girotti, immagine di bellezza e mascolinità per
oltre due decenni, e lo mostra sfatto, preoccupato di chili che si prendono e
di capelli che si perdono, alle prese con massaggi e attività fisica per
combattere i segni del tempo ed essere competitivi sul mercato» (Liberatori).
Ore
19.00 Il mio corpo con rabbia di Roberto Natale (1972, 80’)
«In Il mio corpo con rabbia di Roberto Natale il suo ruolo è
quello di Gabriele, il padre di una disadattata con turbe affettive. La ragazza
è ossessionata dalla figura del padre: lo accusa di essere anaffettivo e di
considerarla un oggetto da collocare in società, e si adopera per distruggere
la sua felicità, il suo mondo di certezze. Senza, però, riuscirci, né ispirare
alcuna simpatia nello spettatore. Al contrario, è proprio il personaggio
interpretato da Girotti a uscire vincente dallo scontro generazionale messo in
scena dalla pellicola. Portatore di valori, solido e saggio, ha la meglio su
tutti i protagonisti. Ancora una volta Girotti era riuscito a mettere le mani
su un personaggio che non lo condannava in secondo piano, ma aveva una funzione
ben precisa nell’insieme. Il regista Roberto Natale, nel rendere il pensiero
fisso della ragazza sul padre, mantiene presente l’immagine dell’attore
dall’inizio alla fine del film, con inquadrature che scrutano i suoi movimenti
e ogni espressione del volto» (Liberatori).
Ore
21.00 Ossessione di sangue di Daniel Tinayre (1959,
107’)
«Pressoché sconosciuta è anche la sua
esperienza di lavoro in Argentina nel 1957, dove Girotti è il protagonista di
una nuova versione cinematografica di La bestia umana di Émile Zola, nel ruolo che prima di lui era
stato di Jean Gabin nel 1938, diretto da Jean Renoir, e poi di Glenn Ford pochi
anni prima, nel ’54, per la regia di Fritz Lang. A stringere i contatti con
Girotti è l’attrice protagonista del film, Ana Maria Lynch, considerata una
delle donne più belle del cinema argentino, durante un viaggio in Italia alla
ricerca dell’interprete giusto. […] La storia è quella di Pedro Sandoval, un
macchinista ferroviario che vive una vita segreta e febbrile. Dietro
l’apparenza dei modi gentili, da grande lavoratore, Pedro nasconde con tormento
la sua incapacità di relazionarsi con le donne, se non in maniera brutale.
L’uomo viene trascinato in un torbido piano criminale da un superiore violento
e cinico e dalla bella moglie di lui, Ana Maria Lynch, per la quale perde la
testa» (Liberatori).
Sabato 21 febbraio
Ore
16.30 La strada lunga un anno di Giuseppe De Santis (1958, 143’)
«Un affresco sul mondo contadino che il
regista è costretto a girare nell’ex Jugoslavia, perché boicottato dai
produttori a causa della sua militanza politica e del suo rifiuto di portare i
contenuti verso quelli più evasivi della commedia di costume. La strada lunga un anno
racconta, infatti, la storia della rocambolesca costruzione di una strada da
parte di vigorosi contadini che si ribellano a un destino di povertà. […] Per
il ruolo di Chiacchiera, un simpatico anarchico che affronta la vita con
allegria, De Santis vuole con fermezza l’amico Girotti, che riesce a
valorizzare in un registro recitativo insolito, utilizzando l’espediente di
renderlo goffo e adorabile allo stesso tempo. […] Girotti si presenta sullo
schermo, fin dalla prima inquadratura, completamente diverso e insolito. Mai
era apparso così smagrito e imbruttito in nessun film, tanto da confondersi,
con le sue ossa aguzze e la barba scura e incolta, con le fisionomie meno
raffinate o sgraziate delle comparse slave, con impressi nel volto i segni
della povertà» (Liberatori).
Ore
19.00 L’Agnese va a morire di Giuliano Montaldo (1976,
134’)
«Tra i primi registi a raccogliere la sua
aspirazione a più dignitose produzioni è Giuliano Montaldo che lo sceglie per
il ruolo del partigiano Palita in L’Agnese va a
morire. In realtà Montaldo arriva a lui con un certo
imbarazzo. La parte è piccola, ha paura di non far cosa gradita all’attore di
Visconti e Pasolini con un ruolo marginale. Ma Girotti accetta, con sua
sorpresa, e generosamente, sapendo che il film conta su un budget modesto.
Altri avevano tentato, senza riuscirci, di portare sullo schermo il libro di
Renata Viganò, il racconto del risentimento popolare verso l’offesa
dell’invasione nazista. […] Il personaggio di Palita riporta Girotti tra il
fango alto e vischioso della pianura padana, in quegli stessi luoghi dove il
Gino Costa di Ossessione aveva vissuto la sua cruenta storia d’amore.
Montaldo lo cita figurativamente quando l’attore, più vecchio e più saggio,
appare sullo schermo con un vecchio Borsalino in testa» (Liberatori).
Ore
21.30 Interno berlinese di Liliana Cavani (1985,
121’)
«Nel cinema, invece, Girotti fornisce una
replica perfetta dell’immagine di uomo elegante e sofisticato per il film Interno berlinese di
Liliana Cavani. La regista di Portiere di notte e La pelle aveva
ricostruito l’ambiente sociale delle ambasciate e dell’aristocrazia del
capitale alla vigilia della seconda guerra mondiale, per raccontare la storia
di uno scandalo che travolge la vita di una giovane coppia quando, nel suo
ménage, compare una bella giapponese che finisce per sedurli. […] Il rapporto
instaurato con la Cavani è ottimo: l’attore si sente apprezzato e benvoluto
anche se il suo ruolo nel film, quello di un ufficiale della Wehrmacht, vittima
del pesante rigore moralistico della Germania nazista, è minimo. Accarezzato
dalla macchina da presa, Girotti fa la sua piccola apparizione nella sequenza
della festa in cui viene consegnato, assieme al giovane amante, nelle mani del
capo della polizia come un perfetto capro espiatorio. Lo smoking impeccabile e
il piglio aristocratico trasmettono una tale maestà da fissare alla sua nuova
immagine di attore quella di un’umanità che trascorre l’esistenza all’insegna
della distinzione» (Liberatori).
Domenica 22 febbraio
Ore
17.00 Rebus
di Massimo Guglielmi (1989,
124’)
«Lo convince invece Rebus, il film debutto
di Massimo Guglielmi da un racconto di
Antonio Tabucchi, con una produzione ricca e
attori di calibro; qui, sempre elegantissimo, con il volto segnato da una
malcelata inquietudine, appare nelle vesti di un aristocratico francese, al
centro di un ricatto, costretto a sopportare per amore i tradimenti della
giovane moglie Charlotte Rampling. L’attrice di Il portiere di notte,
che in quegli anni godeva di una rinnovata notorietà, è solo l’ultima di una
serie di partner eccezionali con le quali Girotti aveva avuto l’occasione di
recitare nella sua decennale carriera» (Liberatori).
Ore
19.15 Dall’altra parte del mondo di Arnaldo Catinari (1992, 89’)
«L’occasione è l’esordio alla regia del
direttore della fotografia Arnaldo Catinari, che firmerà le luci di alcuni tra
i più bei film del cinema italiano. Dall’altra parte del mondo non è tra i più importanti della
sua carriera, ma permette a Girotti di tornare ad essere protagonista di un film.
Il suo ruolo è quello di Aureliano, un vecchio silenzioso che, dopo una vita
spesa in Africa, si guadagna da vivere dipingendo ritratti di donne di colore.
Nel film gli accade di tutto: di uccidere due uomini e poi spacciare droga per
salvare una donna africana dai suoi sfruttatori. L’aspetto più interessante è
che, con questo film, Girotti prende confidenza con il personaggio di un uomo
anziano che fa da mentore a una donna giovane, personaggio che sarà ripreso
anni dopo per il film che coronerà la sua carriera d’attore. Per il resto, la
pellicola emoziona nelle scene in cui Girotti ritrova sul set dopo quarant’anni
l’attrice Marina Berti, la sua partner di Ai margini della metropoli,
che nel film interpreta il ruolo di un’amante giovanile. […] Il loro nuovo e
breve incontro è segnato da un’ombra di malinconia e dalla grazia e
l’intelligenza che i due attori sanno dare ai loro personaggi» (Liberatori).
Ore
21.00 La finestra di fronte di Ferzan Ozpetek (2003,
107’)
«L’offerta di Ozpetek e Romoli arriva a
Girotti sulla soglia degli ottantaquattro anni e dopo un periodo di inattività:
due anni lunghissimi e penosi per un attore che non riusciva a stare lontano
dal set e nel corso dei quali aveva in cuor suo abbandonato l’idea di una parte
da protagonista […]. Avrebbe dato animo al personaggio centrale di Davide, un
uomo alle prese con i meandri della memoria, una memoria dolorosa e piena di
rimpianti, che fa da mentore a una giovane donna, incitandola a ritrovare se
stessa e a pretendere una vita migliore. Accanto a lui attori giovani e
popolari come Raoul Bova, Giovanna Mezzogiorno e Filippo Nigro, secondo uno
schema efficace, che sarà una delle cifre stilistiche di Ozpetek, che unisce
nuovi modelli divistici, vicini al pubblico delle sale, con vecchi leoni ruggenti»
(Liberatori).
Vicolo del Puttarello, 25 Roma
Tel: 0672294301 – 389
Ingresso: 4 euro – rid. 3 euro