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13 marzo 2022

TELESCOPE | racconti da lontano #97 l'arte che comunica

 

 

 

EDITORIALE

 

Pochi mesi prima di morire Kazimir Malevic (Kiev 1879 – Leningrado 1935) descrisse nel dettaglio come avrebbe dovuto salutare questa terra: voleva essere deposto con scarpe rosse, pantaloni neri e camicia bianca, in una bara ispirata agli Achitekton o Planit, i suoi plastici tridimensionali simili a grattacieli, esempi di una nuova architettura capace di abitare anche gli spazi interplanetari. E sì, la sua bara avrebbe potuto essere lanciata nello spazio, solo che poi decise di essere seppellito a Nemchinovka a 40 km da Mosca.

Aveva dato incarico all'amico artista Nikolaj Suetin di erigere una tomba, sormontata da un architekton con un telescopio dal quale i visitatori potessero guardare Giove; l'amico invece realizzò un cubo bianco con un quadrato nero, poi distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale.

Oggi sul luogo presunto della sua sepoltura c'è ancora un ricostruito cubo bianco con un quadrato nero e uno rosso sui lati, come racconta anche Ettore Sottsass in Foto dal finestrino (Adelphi 2009), che lo trovò solo perché, perso nella campagna moscovita, incontrò casualmente la figlia dell'artista.

Chissà cosa penserebbe oggi quell'uomo nato a Kiev da genitori polacchi, creatore di Quadrato nero su fondo bianco (1915), l'opera più radicalmente astratta dell'inizio del Novecento, padre del Suprematismo, che teorizzava un'arte di pura sensibilità plastica, artista ricoperto di onori, poi perseguitato da Stalin e morto in povertà. Forse penserebbe che avrebbe dovuto farsi sparare negli spazi interplanetari… tanto, come diceva, "l'arte non ha bisogno di noi, e non l'ha mai avuto".

 

In questa novantasettesima edizione di TELESCOPE, la nostra newsletter settimanale dedicata ai progetti e alle istituzioni culturali di cui siamo portavoce, nella parte dedicata ai RACCONTI trovate un testo di Fabio Francione, contributor per Il Manifesto e Il Cittadino di Lodi, che ha visitato la mostra Pier Paolo Pasolini. Folgorazioni figurative promossa dalla Cineteca di Bologna negli spazi cittadini del Sottopasso di Piazza Re Enzo; un estratto del saggio critico dei curatori Silvia Bignami e Giorgio Zanchetti che accompagna la mostra Mario Surbone. Due Spazi – Simili e Diversi. Antonio Calderara da Era Gallery a Milano; un racconto della critica, curatrice e giornalista Rossella Farinotti dedicato alla mostra Le 3 Ecologie in corso al MACTE Museo di Arte Contemporanea di Termoli.

Nella sezione VIDEO trovate un virtual tour nella chiesa di San Giovanni Fuoricivitas a Pistoia, parte del percorso di Medioevo a Pistoia. Crocevia di artisti tra Romanico e Gotico prodotta da Pistoia Musei; e la clip della quinta puntata di In compagnia del lupo. Il cuore nero delle fiabe, la seconda stagione della serie tv di Sky Arte condotta da Carlo Lucarelli e dedicata ai segreti nascosti nelle favole della nostra infanzia.

Tra gli EXTRA, Stato di flusso progetto di Pamela Diamante per il ciclo 2022 di Project Room di Fondazione Arnaldo Pomodoro, quest'anno a cura di Chiara Pirozzi e Alessandra Troncone; UTOPIA, il nuovo progetto di TRECCANI ARTE; e la call for artists lanciata da Miniartextil.

 

 

 

 

Folgorazioni figurative, di Fabio Francione

 

Nel percorrere le sale del nuovo spazio espositivo bolognese ricavato nel Sottopasso di Piazza Re Enzo, dirimpetto alla celebre Libreria per ragazzi e a pochi passi da Piazza Maggiore, dedicate alle Folgorazioni figurative di Pier Paolo Pasolini, mi è venuta alla memoria l'immagine di una tela, omaggio al poeta e regista delle Ceneri di Gramsci e di Accattone. Il quadro ha un titolo semplicissimo: Per Pasolini, è del 1976 e l'autore è Vittorio Basaglia, cugino dello psichiatra Franco e guida del collettivo che costruì Marco Cavallo, l'animale di cartapesta simbolo dell'apertura dei manicomi. Il soggetto riprende Il martirio di San Matteo di Caravaggio come fosse un d'après Picasso. Mi sono chiesto il perché di questo cortocircuito mnemonico. E a rispondere non è stata la facile equazione maudit tra Caravaggio e Pasolini. Ma è stata la visione del lungo collage espositivo, aperto al plurilinguismo del digitale, della rappresentazione, del fermo immagine, del frammento cinematografico, della pittura. Insomma, delle parole e delle cose (con qualche oggetto tra cui l'immancabile corvo, assurda allegoria della lingua che non muore, ma che si trasforma, anche attraverso l'assassinio e la cannibalizzazione). Perché l'intera opera di Pasolini vista attraverso il suo cinema – d'altronde Accattone, Mamma Roma e La ricotta hanno i loro corrispettivi anticipatori nei romanzi Ragazzi di vita e Una vita violenta, e potrei continuare per la successiva filmografia a sincronizzare su essa le altre opere teatrali, poetiche, saggistiche e teoriche – e osservata senza soluzione di continuità, sembra raccontare una contro-storia dell'umanità: quest'ultima presa da Pasolini laterale ai grandi accadimenti della Storia o posta addirittura fuori di questa tanto da avvenimenti esterni quanto da insane e autolesionistiche pratiche di sopravvivenza. Mi fermo e lascio volentieri il gioco al lettore di individuare i film che non cito. Questa è ovviamente una lettura personale che va al di là delle intenzioni dei curatori della mostra, Marco A. Bazzocchi, Roberto Chiesi e Gian Luca Farinelli, che nel loro lavoro di ricerca sulle Folgorazioni figurative di Pasolini – e mi è sembrato, conoscendo i loro lavori precedenti, sull'intero corpus intellettuale del poeta-regista – abbiano privilegiato una lettura didattica, sostenuta proprio dalle immagini e dall'aver strappato la misconosciuta sua passione per la pittura e per l'arte, cominciata proprio a Bologna seguendo le lezioni di un maestro come Roberto Longhi e, per varie vicissitudini, condotta clandestinamente e poi trasfigurata criticamente nelle poesie e nel cinema (e si aspettano per un'ulteriore indagine anche le prossime mostre che raccoglieranno l'intera opera pittorica, fino ad ora conosciuta a spicchi). Dunque, una mostra soprattutto destinata a chi è digiuno di cose pasoliniane. Certo, la celebrazione di un centenario, così importante, senza scomodare ancora tutti i luoghi comuni sulla vita e la morte di Pasolini, diventato nel giro di pochi anni da "fantasma ridotto a logo" a "stato di necessità", consente (e ha consentito in questa mostra) non solo di stilare un bilancio sulla sua opera, ma di innestare nella sua biografia aspetti se non proprio inediti, inattesi.

 

 

 

La ricerca di Mario Surbone, di Silvia Bignami e Giorgio Zanchetti*

 

La ricerca artistica di Mario Surbone prende le mosse, fin dagli anni dell'alunnato con Felice Casorati all'Accademia Albertina, da un tentativo di distillare, con rigore, ma senza schematismi né semplificazioni, le scansioni e i ritmi ricorrenti che governano la struttura geometrica e armonica attraverso la quale la natura si offre al nostro sguardo. Nella sua pittura astratta – prima e dopo il decennio decisivo degli Incisi, che va dal 1968 al 1978 – si confrontano, su livelli compositivi sovrapposti, essenziali forme simboliche e archetipiche, immagini originarie e profili biomorfi evocati attraverso una dialettica di linee rette e serpentine.

Come sottolineava nel 1971 Mirella Bandini, "le sagome antropomorfe inserite nei quadri di questo primo periodo emergevano ritagliandosi nell'accentuazione di stacco dal fondo, dal '65 reso conciso e netto dall'incastro di elementi modulari geometrici. I primi "ritagli" (...) su cartone appartengono al '66- '67: forme organiche a replicazione modulare in negativo, o in compenetrazione e giustapposizione, o ancora in prospettive assonometriche su fondi divenuti uniformi di colore" (1). E infatti, superato il confine del segno, del tradizionale contorno pittorico e disegnativo che conchiude le forme, alla fine degli anni Sessanta Surbone si rivolge perentoriamente all'intervento primario del fendere e del tagliare per creare nuove composizioni, di un'essenzialità radicale, sulle stesure monocrome o bicrome dei suoi cartoni e, più tardi, delle lamiere. Si tratta, a ben vedere, di un gesto scultoreo, prima che grafico o pittorico, esclusivamente rivolto a mettere in evidenza, nello spessore infrasottile di pochi millimetri, il limitare tra luce e ombra. Particolarmente significative per comprendere questo atteggiamento sono le prove fotografiche (Fotogrammi), dove il gioco di linee e di ombre è realizzato sulla carta sensibile sollevando quasi impercettibilmente le parti incise di un foglio scuro e lasciando trapelare la luce.

Anche nella serie principale degli Incisi l'intervento materiale dell'artista è ridotto al minimo, limitandosi a un'accurata fase preliminare di studio progettuale e all'atto pratico di incidere il supporto, solo di rado piegato longitudinalmente, in un unico punto: sono poi la tensione, l'elasticità e il peso del materiale stesso a determinare l'apertura dei solchi e la dislocazione tridimensionale degli elementi, in un equilibratissimo duello tra la coesione interna dei fogli e la forza di gravità. Surbone, in una recente intervista, ne ha sintetizzato così il processo realizzativo: "Non pensavo alla linea come linea: per me era un elemento che separava due spazi, in modo da creare un orizzonte. Inoltre, mi interessava il dinamismo generato dall'obliquità, anche se ho lavorato anche sull'ortogonalità, su direttrici verticali e orizzontali. (...) Facevo molti schizzi, disegni, studi preparatori. Poi li riportavo sul cartone che tagliavo secondo il progetto. Mi interessava il movimento della superficie. Il cartone che usavo non si ondulava, ma si muoveva secondo una curvatura" (2).

 

1) M. Ba. [Mirella Bandini], Mario Surbone, in «NAC. Notiziario Arte Contemporanea», nn. 6/7, giugno-luglio 1971, pp. 41-42.

2) Elena Pontiggia, Conversazione con Mario Surbone, in Ead. (a cura di), Mario Surbone. Incisi 1968-1978, Allemandi, Torino, 2017, pp. 13-14.

 

*estratto dal testo introduttivo alla mostra Mario Surbone. Due Spazi – Simili e Diversi. Antonio Calderara a cura di Silvia Bignami e Giorgio Zanchetti in corso a Era Gallery di Milano fino al 10 aprile 2022

 

  

 

Un luogo storico di aggregazione per diverse generazioni: il Macte di Termoli, di Rossella Farinotti

 

Il giorno dopo l'apertura straordinaria con gli artisti de le 3 ecologie siamo andati a trovare nonna Anna, storica termolese che, durante il boom economico, è stata l'unica tra i fratelli a decidere di non lasciare la sua città per andare a Nord. L'attenta signora ci ha chiesto com'era la mostra che aveva inaugurato al "muse'". Lo ha chiamato così, raccontandoci che era il mercato dove era solita andare a fare la spesa. Aveva sentito da suo nipote Gianluca, un artista di Termoli, che era diventato un importante museo. Anche per lei era un avvenimento.

Termoli è una città dal fascino particolare. Il quartiere storico si affaccia sul mare. È un'area sempre ventosa e ha una delle piazze più belle in Italia. Le altre zone sono caratterizzate da stratificazioni stridenti di urbanizzazione più recente. C'è una rotonda che accoglie chi guida verso il centro in cui si staglia un grande totem con la scritta MACTE. È il museo della città. Questo benvenuto fa intuire l'importanza che questa realtà assume nel contesto urbano e la necessità di un luogo simbolico di aggregazione. Il museo d'arte contemporanea di Termoli – divenuto Fondazione nel 2019 – è stato infatti costruito all'interno del vecchio mercato storico della città. Un'architettura brutalista, a pianta centrale con struttura circolare, mantenuta nella sua interezza con lo scopo di creare un luogo culturale. Ecco perché le 3 ecologie, la mostra curata dalla Direttrice Artistica Caterina Riva, ha un risvolto anche sociale, legato a una volontà di incontro e scambio. La mostra, il cui titolo riprende le tre realtà ideate e analizzate da Félix Guattari nel saggio del 1989 – ecologia ambientale, sociale, mentale – mette in scena diverse visioni di temi tanto discussi negli ultimi anni. Spunti in dialogo con l'ambiente, la natura, la storia di un territorio, l'artigianalità e il fatto a mano, l'importanza dell'archivio di immagini e la sopravvivenza legata al cibo in diverse aree del globo. Questo aspetto è trattato dal video di Karrabing Film Collective e dal documentario di Jumana Mana, sulle colture agricole dalla Siria alla Norvegia. Gli artisti in mostra, diversi per generazione e approccio stilistico, dalla ricercata installazione di Silvia Mariotti, in cui unisce il linguaggio fotografico alla plasticità del gesto che straborda sulle pareti del museo, come le cianotipie di Jonatah Manno, che trovano sfogo anche in sculture in resina; ai pannelli in gesso, installati al centro del museo, di Micha Zwefel, della seria Calendar, al wallpaper di Francesco Simeti, dove piante riprese da dipinti storici sono in primo piano, che fa da cornice ai disegni di Nicola Toffolini. Anche la pittura è presente con Francis Offman, che si relaziona con opere della collezione del museo di artisti storici da Concetto Pozzati al Trittico verde di Guido Strazza. le 3 ecologie rappresenta dunque un momento di riflessione e dialogo che indica quanto in Italia sia necessario un luogo di riferimento in ogni città. Se poi all'entrata il visitatore viene accolto da un'opera interattiva di Piero Gilardi, l'impatto lo spinge ad esplorare.

 

 

VIDEO

 

Passeggiate Medievali

 

La chiesa di San Giovanni Evangelista, detta San Giovanni Fuorcivitas, è un importante complesso nel centro di Pistoia, detto Fuorcivitas perchè la chiesa, all'epoca della prima fondazione in epoca longobarda, si trovava fuori dalla prima cerchia di mura cittadine. L'attuale edificio, costruito tra il 1119 e il 1344, è un esempio romanico di grande interesse, al cui interno si conservano opere di pregio come La Visitazione (1445) di Luca della Robbia, un'acquasantiera marmorea (XII-XIII secolo) attribuita a Giovanni Pisano, e un polittico di Taddeo Gaddi dipinto nel 1350-1353. In questo virtual tour digitale, si racconta una proposta ricostruttiva per la decorazione dell'altare maggiore. La chiesa, insieme a quelle di Sant'Andrea, la cattedrale di San Zeno, San Bartolomeo in Pantano, San Paolo, San Domenico, San Francesco e la chiesa del Tau costruiscono un percorso straordinario che completa e arricchisce la mostra Medioevo a Pistoia. Crocevia di artisti tra Romanico e Gotico, prodotta da Pistoia Musei.

 

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Crediti immagine: Still da video Crediti video: Pistoia Musei | Medioevo a Pistoia - San Giovanni Fuorcivitas. Video Metilene Design e Comunicazione


 

Storie vere che diventano favole

 

Martedì 15 marzo alle 21.15 su Sky Arte (anche on demand e in streaming su NOW) va in onda la quinta puntata di In compagnia del lupo. Il cuore nero delle fiabe, la seconda stagione della serie condotta da Carlo Lucarelli che ci racconta i segreti – a volte terribili – nascosti nelle fiabe che ci hanno raccontato da bambini. Come quella di Raperonzolo, la principessa rinchiusa nella torre protagonista di questo episodio – di cui vi offriamo la clip –, che in realtà racconta la storia di tante donne rinchiuse, torturate, murate vive per il semplice fatto di voler essere libere di fare le proprie scelte.

 

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EXTRA

 

Cercando l'origine

 

È il tema dell'origine quello scelto per il ciclo 2022 di Project Room di Fondazione Arnaldo Pomodoro, da intendersi nelle sue molteplici valenze espressive, contenutistiche e materiche. Questo concetto – molto presente nella ricerca di Arnaldo Pomodoro – sta alla base della mostra Stato di flusso, progetto inedito di Pamela Diamante a cura di Chiara Pirozzi e Alessandra Troncone, primo appuntamento dell'edizione che, dal 19 marzo, occupa gli spazi espositivi di Via Vigevano a Milano. La mostra è un'installazione ambientale immersiva nata dalla relazione instaurata dall'artista con un gruppo di persone invitate a compiere un percorso di riflessione sulla propria esistenza. L'artista ha realizzato 6 video in cui queste persone compiono l'azione più vitale e originaria possibile: respirare.


 

Parole che diventano immagini

 

Sono Àmen, Arrivederci, Ascolto, Assenza, Cielo, Farfalle, Filtro e Utopia le parole scelte dagli artisti Elisabetta Benassi, Ettore Favini, Claire Fontaine, Piero Golia, Emilio Isgrò, Marcello Maloberti, Rä di Martino e Alessandro Piangiamore per UTOPIA, il nuovo progetto di TRECCANI ARTE che celebra il fascino della lingua italiana attraverso la creatività contemporanea. Treccani Arte ha invitato ogni artista a scegliere una parola che rispecchi la sua ricerca e ad associarvi un'immagine, scelta dal proprio corpus di opere, realizzata ad hoc o rielaborata, per creare un poster d'artista in tiratura limitata (100 esemplari). Perché UTOPIA? Perché il progetto vorrebbe realizzare l'impresa – utopica, appunto – di creare un vocabolario di immagini.

 

 

Crediti: Elisabetta Benassi, Utopia, Courtesy to Treccani Arte


 

MINIARTEXTIL cerca artisti

 

Se sei un artista, designer, docente o studente di discipline artistiche, hai tempo dall'8 marzo al 31 maggio 2022 per partecipare alla call for artists lanciata da Miniartextil, la manifestazione che da 31 edizioni ospita a Como il meglio della Fiber Art contemporanea. La call – promossa dall'Associazione culturale ARTE&ARTE e dalla Fondazione Bortolaso-Totaro-Sponga – nasce per la selezione dei minitessili, opere di piccolo formato da sempre protagoniste della manifestazione. Queste le caratteristiche: creazioni originali bi o tridimensionali, realizzate a mano o in modo che la tecnica sia controllata dall'artista, eseguite con materiali o tecniche tessili, le cui dimensioni non devono superare i 20x20x20 cm. Il tema di Miniartextil 2022 è Rosa Alchemico.

 

 

Crediti: Ilary Bottini, Don't blame me - the mask of Dualism Lana, cotone, capelli sintetici Credits t-space studio


  

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