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24 ottobre 2018

Emma Dante rilegge LA SCORTECATA di Giambattista Basile _ dal 30 ottobre all'11 novembre Teatro India




Dal 30 ottobre all’11 novembre al Teatro India
in scena la fiaba crudele della Scortecata per la regia spietata e originale di Emma Dante.
Liberamente tratta da Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile, la pièce – dal finale orrorifico –
ci parla di desiderio e di vecchiaia attraverso la magistrale interpretazione di Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola
LA SCORTECATA
liberamente tratto da Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile
testo e regia Emma Dante
con Salvatore D’Onofrio, Carmine Maringolaelementi scenici e costumi Emma Dante - luci Cristian Zucaro
Produzione Festival di Spoleto 60, Teatro Biondo di Palermo
in collaborazione con Atto Unico, Compagnia Sud Costa Occidentale

Dal 30 ottobre all’11 novembre al Teatro India Emma Dante affronta Giambattista Basile scegliendo La scortecata, affresco umano su due solitudini ai margini della società, liberamente tratta da Lo cunto de li cunti overo lo trattenimiento de peccerille, raccolta di cinquanta fiabe in lingua napoletana che l’autore scrisse fra il 1634 e il 1636. Per La scortecata, «trattenimiento decemo de la iornata primma», in scena due interpreti d’eccezione, Salvatore D'Onofrio e Carmine Maringola, che vestono i panni di due vecchie tormentate dal desiderio, ossessionate a tal punto dall’amore per il Re da compiere il più estremo dei gesti: scorticarsi per far uscire dalla pelle vecchia la pelle nuova. Quello creato dalla penna di Giambattista Basile è un mondo affascinante, sofisticato e dalle regole terribili: prendendo spunto dalle fiabe popolari, l’autore inventa personaggi, luoghi e racconti che sembrano sospesi a metà fra i lazzi della commedia dell’arte e i più astratti dialoghi shakespeariani. La lingua pare quasi una partitura metrica: un napoletano nutrito di espressioni gergali, proverbi e invettive che ne rafforzano e ne esaltano la musicalità. Una lingua che cerca la verità senza rinunciare ai ghirigori barocchi della scrittura. Emma Dante riprende una tradizione del teatro settecentesco per una riscrittura originale, tagliente, spietata: a interpretare le due vecchie sono due uomini, che con magistrale abilità si destreggiano fra gli altri personaggi – il re, la fata... – ricoprendone a turno i ruoli. Si muovono su una scena quasi vuota: due «seggiulelle», una porta a delineare i confini della catapecchia che fa da casa alle due vecchie, un castello in miniatura a suggestione di un sogno soltanto evocato. Le due vecchie, sorelle, si sopportano a fatica ma non possono vivere l’una senza l’altra. Trascorrono il loro tempo sprofondate nella miseria e nella volgarità, finché non giunge l’inaspettata richiesta del Re, che si è innamorato della voce di una delle due: vuol conoscere la graziosa a cui appartiene quella voce. Allora le due, vittime di un desiderio non ancora sopito, scivolano nella favola volgare che loro stesse mettono in scena: al prezzo di sacrifici, dolori, inganni, ottengono che quella passi una notte d’amore col Re. Ma il Re, al mattino, scopre l’inganno, e la butta giù da una finestra. La vecchia viene salvata da una fata e resa per magia una splendida fanciulla, che ora il Re chiede in sposa. È qui che la penna di Emma Dante interviene puntuale: laddove la scrittura originale voleva che la sorella, invidiosa, accettasse di farsi scorticare dal barbiere nella speranza di competere con la giovinezza ritrovata dell’altra, qui è la stessa vecchia che, dopo la miracolosa trasformazione, «non ci crede cchiù alle favole», e si offre al coltello brandito dall’altra.