Domenica 11 gennaio al cinema Trevi - Cineteca Nazionale
“Omaggio a Maria Rosaria”
“Omaggio a Maria Rosaria”
La Cineteca Nazionale festeggia
l’attrice nel giorno del suo compleanno con la proiezione del film di Wajda Walesa
- L’uomo della speranza e con un’altra sua indimenticabile interpretazione
nel film di Muzzi Loffredo Occhio nero, occhio biondo, occhio felino. Entrambi
presentati con successo alla Mostra di Venezia.
La rinascita del cinema italiana nelle
ultime stagione passa anche attraverso la straordinaria interpretazione di Maria
Rosaria Omaggio nel ruolo di Oriana Fallaci in Walesa - L’uomo della
speranza. Erano anni che un’attrice italiana non si metteva così in
evidenza in un film diretto da un maestro del cinema mondiale, talmente colpito
dalla meticolosa preparazione e dalla somiglianza della Omaggio con la celebre
giornalista da ampliare il ruolo inizialmente previsto in sceneggiatura.
ore 18.15 Walesa - L’uomo della speranza
di
Andrzej Wajda (2013, 127’)
Il
primo film sulla vita di Lech Walesa (interpretato da Robert Wieckiewicz), il
leader dell’opposizione polacca. Lo sceneggiatore e romanziere Glowacki fu tra
gli intellettuali che si unirono nel 1980 al gruppo degli scioperanti, quando
nacque il movimento Solidarnosc, e nel 1981 emigrò a New York sulla scia
dell’imposizione della legge marziale in Polonia dal suo governo comunista. In
quello stesso anno Oriana Fallaci si recò in Polonia per intervistare Walesa,
riuscendo con la sua inimitabile arguzia a offrire al mondo pagine di storia.
«La vediamo, Oriana
Fallaci. Con la sigaretta in bocca, gli occhi chiari e incredibilmente belli,
la voce arrochita dal troppo fumo. Aggressiva nelle domande, ma anche pronta a
calmarsi, quando sente di addentare una qualche verità. Le mani tese, la fronte
corrugata, l’aria di chi ha fretta di arrivare al punto. Un’intervista come se
fosse un incontro di boxe, dove uno dei due deve finire al tappeto. Sembra
Oriana Fallaci, ti sembra di sentire quell’accento fiorentino scartavetrato da
tanti anni, tanti incontri, tanti aerei, tanti hotel. Sembra lei e invece è
Maria Rosaria Omaggio, in una performance di mimesi straordinaria, in cui fa
percepire quell’ansia nervosa e generosa insieme, quella durezza fragile che
era la cifra della giornalista più temuta, più odiata, più rispettata» (Luca
Vinci, «Libero»). «Lei è stata semplice, nel senso migliore. Era preparatissima
per il ruolo, professionale fino al punto di venire a conoscermi indossando una
pelliccia uguale a quella della Fallaci. Aveva studiato ogni suo appunto. Da
anziano regista ho conosciuto tanti attori, ma non ho mai visto tanto impegno
per impersonare una parte al meglio. Ho pensato d’inserire l’intervista nella
trama perché, intervistato da una donna, Lech fu diverso, a tratti esitante,
incerto a rispondere, più vero» (Wajda). «Avendo tanto studiato Oriana,
mi sono preoccupata di fare emergere la sua personalità contraddittoria. Era la
regina degli opposti. Mostrava una femminilità estrema, laccandosi le unghie di
rosso acceso e truccando gli occhi. Ma era anche capace di una grande
aggressività, che nascondeva la sua solitudine» (Omaggio). L’attrice ha
ricevuto per questa sua indimenticabile interpretazione un Premio Pasinetti
speciale alla Mostra di Venezia 2013 e il Premio Oriana Fallaci 2014.
ore 21.00
incontro con Maria Rosaria Omaggio, Laura Delli Colli.
moderato da Italo
Moscati
a seguire Occhio nero, occhio biondo,
occhio felino…
di Muzzi Loffredo (1983, 92’)
«Film
inventato, scritto, costumato, musicato, cantato e diretto la Loffredo, nota
cantante folk: un’impresa alla Chaplin che in un Paese ordinato basterebbe da
sola a suscitare curiosità. È l’educazione sentimentale (ma non sarebbe meglio
dire magica?) di una ragazza di Palermo dall’infanzia al matrimonio. Viene
definita dalla suora del collegio “una bambina che vuol far morire la mamma”. E
il film racconta tutto l’arco di questo funesto evento, dalla falsa accusa
fondata su un temperamento mercuriale (“É la disobbedienza la causa di tutti i
tuoi mali”) alla rivolta aperta (“Mi fai schifo! Io non ti voglio!” grida Anna
alla madre) e allo sbigottimento quando la morte della mamma nel gran palazzo
gattopardesco avviene davvero. Lei oscilla fra il rigorismo controriformista
dell’ambiente familiare e le fughe a ritmo martellante da una misteriosa strega
ai piedi della montagna. Con la tiritera che comincia “occhio nero occhio
biondo occhio felino” la vecchia introduce la bambina nel mondo delle fantasie
prenatali, in una serie di favole morbide e crudeli da Mille e una notte. C’è
una favola in cui la madre mangia ignara la testa della figlia inviatale dal
sultano, affrontata con bella furia gestuale da Maria Rosaria Omaggio, che
altrove è una mammina biancovestita e affascinante in stile Amarcord. Morale: il
cannibalismo familiare, nella realtà e nella memoria, è una cosa della vita, va
preso com’è. Cinema italiano che va da Nostra signora dei Turchi di Carmelo
Bene al recente Ybris di Gavino Ledda, Occhio nero occhio biondo
occhio felino è uno strano film che vale una visita» (Tullio Kezich).
Presentato nella sezione De Sica per le opere prima alla Mostra di Venezia.
Ingresso
gratuito
Il
programma della prossima settimana:
13 - 14 gennaio
Fratelli nel
cinema: Brazzi e Garrone
«L’invenzione
del cinematografo è legata al nome di due fratelli: Auguste e Louis Lumière. Da
allora, nella storia del cinema, sono stati tanti i fratelli che, in
collaborazione o in competizione, si sono dedicati a questo mestiere. I
mestieri del cinema sono tanti e, in certi settori, si sono formate nel tempo
vere e proprie dinastie di artigiani e professionisti. Questo aspetto, che
caratterizza in maniera particolare il cinema italiano, rimasto,
sostanzialmente, un cinema artigianale, è al centro della presente rassegna con
cui ci si propone di mettere a confronto opere legate ai nomi di fratelli o
sorelle, per comprendere meglio il peso che i rapporti umani, personali e
familiari, hanno avuto nello sviluppo e nella qualità del nostro cinema»
(Amedeo Fago).
Gli appuntamenti di questo mese sono
dedicati ai fratelli Brazzi, Oscar e Rossano, e ai fratelli Garrone, Riccardo e
Sergio.
Rassegna a cura di Amedeo Fago
martedì 13
gennaio
ore 17.00 Salvare la faccia di Rossano
Brazzi (1968, 90’)
«Un
giovanotto di pochi scrupoli ricatta un industriale, padre della sua ragazza,
consegnandogli foto compromettenti. L’uomo, che teme per la sua attività, paga
una ingente somma al ricattatore, ma fa rinchiudere la figlia in una casa di
cura» (Poppi-Pecorari). La contestazione giovanile secondo Rossano Brazzi, per
l’occasione anche regista: uno scontro tra padri e figli che si riversa crudelmente
sull’intera società. Con Paola Pitagora, Adrienne la Russa e Nino Castelnuovo.
ore 19.00 Il sesso del diavolo -
Trittico di
Oscar Brazzi (1971,
90’)
«Thriller alla Oscar Brazzi in quel di
Istanbul con la moglie del fratello Rossano che nel ricordo di una storia lesbo
si scatena nel soprannaturale, assatanata dalle altre donne del posto, a
cominciare da Sylva Koscina, non troppo in forma, assistente del marito
chirurgo. Comunque da vedere. “Di soprannaturale c’è solo il fatto che il film
abbia avuto una distribuzione sia pur regionale” (Segnocinema)» (Giusti).
ore 20.45 Giro girotondo… con il sesso è
bello il mondo
di Oswald Bray [Oscar Brazzi] (1975, 78’)
«Una fanciulla, chiamata Cappuccetto
Rosso, vive nel 2010. In una villa, dove credeva di trovare Nonna Cenerentola,
assiste invece ad una ricostruzione filmata della sua vita, da quando era
prostituta di basso rango alla sua consacrazione come star della TV. Il suo
testamento è uno solo: lasciare alla nipotina il compito di scegliere fra un
mondo sommerso dal vizio o far scoppiare la bomba atomica» (Poppi-Pecorari).
«Cosa dire?» (Giusti).Con Rossano Brazzi e Patricia Webley.
mercoledì 14
gennaio
ore 17.00 La commessa di Riccardo
Garrone (1975, 87’)
«Opera
prima di Riccardo Garrone, anche se non vi compare come attore. Protagonista è
Renato Cecilia nei panni di un massaggiatore alle prese con femmine scatenate,
da Femi Benussi alla piccola star Yvonne Harlow» (Giusti).
ore 19.00 La mafia mi fa un baffo di Riccardo
Garrone (1975, 101’)
«Secondo
e ultimo film diretto da Riccardo Garrone, grande caratterista della commedia
all’italiana, poi del mondo della pubblicità anni ’90. La storia è più o meno
quella di Johnny
Stecchino, solo che al posto di Roberto Benigni troviamo come “nuovo comico
italiano” Renato Cecilia, attore di non grande virtù nato nei decamerotici»
(Giusti).
ore 21.00 incontro con Sergio
Garrone e Marco Giusti
moderato da Amedeo
Fago
a seguire La colomba non deve volare di
Sergio Garrone (1970,
106’)
Il
titolo è ispirato ai “messaggi speciali”, cioè a quelle comunicazioni in codice
che le radio alleate trasmettevano ad uso dei loro servizi segreti, o dei
partigiani sparsi nei paesi occupati dai nazisti, per ordinare operazioni
belliche o comunicare informazioni strategiche. Qui si tratta d’un disperato
tentativo, svolto verso la fine del conflitto, per tagliare i rifornimenti agli
alleati, con un bombardamento di pozzi petroliferi affidato a una squadriglia
italiana. Più che l’impresa in se stessa, il film è incentrato sulla trama
intessuta da un agente spagnolo per permettere l’attuazione tecnica
dell’impresa. Contro il giovane è schierato lo spionaggio inglese e la lotta si
svolge tra inseguimenti, colpi di scena, insidie, continuamente contrappuntata
dalla preparazione puramente militare. Con Horst Buchholz, Sylva Koscina,
William Berger, Riccardo Garrone.
Ingresso
gratuito
15 -16 gennaio
Il western
secondo Sergio Garrone
Nella riscoperta
del cinema italiano, resa possibile dalla multiforme programmazione del
Cinema Trevi, si ritaglia improvvisamente un suo spazio Sergio Garrone,
(ri)scoperto con i suoi appassionanti interventi nel convegno sul gotico
all’italiano al Festival di Roma. E riemerge come autore di originali western,
che in molti casi di “spaghetti” hanno solamente l’ambientazione nostrana, fra
il villaggio della Elios e le cave della Magliana, ma in realtà guardano ai
classici americani, a volte anticipandoli (Django il bastardo ha
ispirato Clint Eastwood per Lo straniero senza nome), a volte
smontandone e rimontandone i cliché, con insolite venature gialle e addirittura
horror. Una strada del tutto personale, percorsa in solitudine e mai
identificata.
giovedì 15
gennaio
ore 17.00 Se
vuoi vivere… spara!
di Willy S. Regan [Sergio Garrone] (1968,
94’)
«Esordio nella regia di Sergio
Garrone, fratello dell’attore Riccardo, che qui si chiama Rick Garrett. […] La
storia vede Ivan Rassimov, lanciato allora come Sean Todd […], che viene
intrappolato in un sadico gioco dagli abitanti di una cittadina. Durante una
partita a poker spingono i forestieri ad accoppare un compagno di poker […].
Rassimov-Todd si salva e, ferito, viene curato dalla bella Sally, Isabella
Savona, in una fattoria» (Giusti). C’è anche Renato Mambor.
ore 19.00 Tre croci
per non morire di Willy S. Regan [Sergio Garrone] (1969, 98’)
«Per il regista è il suo miglior
film western. Anche perché, dice, “questo aveva anche un messaggio”. La trama,
comunque, è da giallo. Perché, secondo Garrone, il giallo funziona sempre. […]
Si inizia con un terribile stupro a Mariangela Giordano tra veli e candele. Ma
il cuore della vicenda vede tre amici finiti al gabbio, Craig Hill, Ken Wood
(finalmente buono!) e Franco Cobianchi D’Este (qui col nome di Peter White…)
che vengono misteriosamente fatti evadere per trovare le prove dell’innocenza
di un giovane messicano, loro compagno di cella, ingiustamente accusato di
omicidio. […] Abbastanza di culto» (Giusti).
ore 21.00 Una lunga
fila di croce di Sergio Garrone (1969,
101’)
«Al tempo Una lunga fila di croci sembrò
piuttosto interessante, con un bel cast, il duo Berger-Steffen e la bellissima
Nicoletta Machiavelli. […] La storia vede un branco di banditi sotto il
controllo del perfido banchiere Fargo, cioè Riccardo Garrone, attivissimi nel
commercio dei messicani venduti come schiavi agli americani alla fine della
Guerra di Secessione. Nella guerra a questo losco traffico e al banchiere,
verranno coinvolti due bounty killer, Brandon e Bibbia Murdoch, cioè Anthony
Steffen e William Berger» (Giusti).
venerdì 16
gennaio
ore 17.00 Django
il bastardo
di Sergio Garrone (1969,
100’)
«È considerato uno dei migliori
sotto-Django e, per tutti, il miglior film di Sergio Garrone […]. Va detto,
però, che lo stato di culto è più dato dall’ambientazione malsana che da attori
e messa in scena. Steffen, si sa, non ha forza del Django originale di Franco
Nero, ma l’idea di fare uno spaghetti horror, tutto ambientato in una notte in
un villaggio deserto, è notevole. […] Django torna dalla guerra, ma forse anche
dalla morte, per vendicarsi di tre soldati sudisti che hanno tradito il suo
gruppo in battaglia. Django ha un poncho nero, che lo fa sembrare un
pipistrello. […] Antonio Bruschini lo considera “un’opera di un fascino
innegabile, un piccolo gioiello del western con connotazioni orrorifiche”»
(Giusti).
ore 19.00 Uccidi
Django… uccidi per primo!!! di Sergio Garrone (1971, 83’)
«Raro spaghetti di Garrone che
vede protagonista Giacomo Rossi Stuart. È accusato di aver ucciso il vecchio
Silvio Bagolini per impossessarsi della miniera che avevano in società.
Ovviamente non è vero. I cattivi sono invece Aldo Sambrell, il bandito Santana,
che ha preso la finta identità del banchiere Burton, e il bandito George Wang,
che ancora una volta fa il messicano» (Giusti).
Lilli Carati una
vita da eroina
Il 21 ottobre 2014 si è spenta a Varese
a soli 58 anni Lilli Carati, dopo una vita dolorosissima, in cui l’allora corpo
della ragassa dall’anima debole e ingenua, appena uscito dalle luci della
ribalta di Miss Italia, è stata travolto da uno showbiz vorace e mai sazio di
popolarità, da gettarla nel tritacarne dell’uso e getta. Inevitabili la
tossicodipendenza e la caduta nel cinema soft e poi hardcore. Il suo tragico
destino sembrava già scritto nel finale di Avere vent’anni (1978) di
Fernando Di Leo, in cui Lilli Carati e Gloria Guida, due autostoppiste
emancipate, venivano orrendamente torturate e stuprate da un branco di uomini,
all’apparenza buffi e affamati, poi terrificanti carnefici. Ecco perché
riproiettare un qualsiasi film interpretato da Lilli Carati, come La
professoressa di scienze naturali (1976), La compagna di banco (1977),
Candido erotico (1978), Le evase - Storie di sesso e violenza (1978),
Senza buccia (1979), C’è un fantasma nel mio letto (1981), ma
anche gli innocui Squadra antifurto (1976), Poliziotto sprint (1977),
Qua la mano (1980), senza dimenticare gli autoriali – peraltro pochi! – La
fine del mondo nel nostro solito letto in una notte piena di pioggia (1977),
Il corpo della ragassa (1979), e gli indicibili L’alcova (1985),
Il piacere (1985), Voglia di guardare (1986), Una moglie molto
infedele (1987), Una ragazza molto viziosa (1987), Una
scatenata moglie insaziabile (1988) e Il vizio preferito di mia
moglie (1988), significherebbe “stuprarla” per la seconda volta. Meglio
rivederla e riascoltarla nel toccante documentario antisensazionalistico Lilli
Carati. Una vita da eroina realizzato, quando l’attrice risiedeva in una
comunità di recupero per tossicodipendenti, dalla regista televisiva Rony
Daopoulos e andato in onda il 25 febbraio 1994 all’interno del programma di Rai
3 Storie vere.
ore 21.00 - Lilli Carati. Una vita da
eroina di
Rony Daopoulos (1994, 30’) Per gentile concessione di Rai Teche -
Ingresso gratuito
sabato 17
gennaio
Tzè, tzè.
Omaggio a Bombolo
«Bombolo poteva fare qualsiasi cosa. In
quel tipo di cinema, si muoveva meglio di tutti. “Tra gli ultimi caratteristi
italiani è un gigante”, scrivevo già allora, nel 1982. “Ha un fisico e una voce
impensabili per qualsiasi altro cinema che non sia quello italiano più sporco e
sudato. Ex piattaro della zona di Vicolo delle Palle a Roma, Bombolo è in pieno
il comico preso dal vicolo e portato sullo schermo. Con una voce inconfondibile
e facilmente imitabile dai ragazzini è il caratterista più amato dal pubblico
romano. Sempre sudato, coi capelli alla bebè come Oliver Hardy, una sola
espressione in viso, pronto al pianto isterico e alla battuta pesantissima, più
che una spalla per Tomas Milian-Monnezza, Pippo Franco e Cannavale, Bombolo è
la presenza più sincera della romanità nel nostro cinema e la verifica che
questo cinema è fatto di volti e di voci» (dalla prefazione di Marco Giusti al
volume di Ezio Cardarelli, E poi cominciatti a fa’ l’attore, ad est
dell’equatore, 2014).
ore
17.00 - Delitto al Blue Gay di Bruno Corbucci (1984, 98’)
ore
19.00 - L’imbranato
di Pier Francesco Pingitore (1979,
86’)
ore 21.00 - Incontro con Regina,
Daniela, Stefania e Alessandro Lechner, Ezio Cardarelli, Alessandra
Cardini, Paco Fabrini, Pippo Franco, Galliano Juso, Martufello,
Ferzan Ozpetek, Pier Francesco Pingitore, moderato da Marco
Giusti
domenica 18
gennaio
(In)visibile
italiano: Ernesto Guida
La Cineteca Nazionale rende omaggio al
regista napoletano Ernesto Guida, scomparso nel 2013 in Ciociaria, dove si era
trasferito da più di venti anni. «Ancora studente liceale, è assistente
volontario di Gennaro Righelli (Storia di una capinera), regista con cui
lavora, stavolta accreditato in Il corriere del re. Nel dopoguerra, dopo
essersi laureati, si dedica al giornalismo (dirige, fra l’altro, le riviste
cinematografiche “Anteprima” e “Politeama”) e al cinema. Come aiuto regista
collabora soprattutto con Giacomo Gentilomo, Mario Bonnard e Nunzio Malasomma.
Dal 1954 scrive numerosi copioni per film di vario genere. Interessante il suo
sodalizio con Giuseppe Maria Scotese: fra i film si ricordano Questo amore
ai confini del mondo, Le città proibite e America di notte.
Nel 1968 dirige Un amico, delicata storia dell’amicizia tra un bambino e
un adulto. In anni più recenti torna dietro la macchina da presa e firma Il
segreto dell’uomo solitario, presentato con successo al festival di
Salerno, ma poi distribuito solo localmente. Anche regista teatrale (Nekrassov,
dal dramma di J.P. Sartre)» (Poppi).
ore
17.00 - Un amico di Ernesto Guida (1968,
93’)
ore
19.00 - Il segreto dell’uomo solitario (1990,
107’) Un film di Ernesto Guida. Con Mimsy Farmer, Giulio Bosetti, Didi Perego, Nada. Drammatico
ore 21.00 - Nosferatu il vampiro di Friedrich Wilhelm Murnau (1922, 81’)
Fatti e
strafatti
«Immagino tutti ricordiate Sabrina
di Billy Wilder, un capolavoro irripetibile. Nel 1995 ne fu fatta una nuova
versione firmata Sydney Pollack con Harrison Ford nella parte che fu di Bogart.
Con tutto l’amore che nutro per Pollack, non riuscii a terminarne la visione.
Uscii dal cinema con le paturnie chiedendomi che senso ha rifare una cosa che è
perfetta. Sarà inesorabilmente una brutta copia. In scultura vi sono molte
rappresentazioni della Pietà, ma nessuno ha mai pensato di rifare quella
di Michelangelo, mentre nel cinema è normale che i film riusciti siano soggetti
a periodici tagliandi dove si sostituiscono per intero i “pezzi”.
Questa
rassegna intende compiere una ricognizione nello “sfascia carrozze” della
settima arte rovistando tra i pezzi originali dei più acclamati modelli, quasi
tutti “assemblati” durante l’era del Muto e, più che “rifatti”, successivamente
“strafatti”. Diciamo che è una rassegna vagamente polemica, ma come sempre
spinta dalla più appassionata e divertita curiosità.
Buona visione e buon ascolto» (Antonio Coppola).
Buona visione e buon ascolto» (Antonio Coppola).
Accompagnamento
musicale del M° Antonio Coppola