Il
31,4% degli studenti sardi delle superiori porta a casa un'insufficienza da
recuperare, contro una media nazionale del 25,9%. E i non ammessi all'anno
successivo sono il 14,7%, contro una media nazionale del 9,6%. Quelli campani e
siciliani, gli studenti che non ce l’hanno fatta a superare l’anno successivo,
sono rispettivamente l’11,5% e l’11%. Sono anche le regioni dove si abbandonano
i banchi con più facilità.
Marcello
Pacifico (Anief-Confedir): è un paradosso che siano tra le stesse regioni dove
l’anno prossimo vi saranno più tagli di docenti, oltre 900 in meno. In queste
zone servirebbe invece un organico maggiorato, deroghe sulla formazione delle
classi e rilanciare l’apprendistato puntando sull’immenso patrimonio artistico
che detengono. Oltre che ricondurre le classi al
monte ore massimo giornaliero, espandendo le attività progettuali.
La Sardegna è non solo la regione con più
abbandoni scolastici negli istituti superiori: sulla base dei dati
ufficiali emessi in queste ore dal
Ministero dell’Istruzione, si evince che il 31,4% degli studenti sardi
porta a casa un'insufficienza da recuperare, contro una media nazionale del
25,9%. La Sardegna è anche la regione dove si promuove meno: i non ammessi
all'anno successivo sono il 14,7%, contro una media nazionale del 9,6%. Negli
istituti professionali i respinti sono il 23,3%, a fronte di una media del 16%.
Praticamente, in Sardegna solo uno studente su due (il 53,9%) viene ammesso
alla classe successiva. Vanno male anche le altre regioni del Sud: in Campania
e Sicilia gli studenti, sempre della superiori, che non ce l’hanno fatta a
superare l’anno successivo sono rispettivamente l’11,5% e l’11%.
Il sito
internet Skuola.net, proprio su questi dati, ha tracciato l'identikit dello
studente italiano più in difficoltà: “sardo al secondo anno dell'istituto
tecnico. L'anno più difficile in cui gli studenti rischiano i vecchi esami di
riparazione risulta essere il secondo anno delle superiori, che registra un
27,2% di sospensioni di giudizio, contro una media dei 4 anni pari al 25,9%,
stabile sul 2012-2013. L'indirizzo più critico, in cui si rilevano i debiti più
diffusi, è l'istituto tecnico che incassa un 29,8% contro il 28,4% dei
professionali e il 22,1% dei licei”.
Le due maggiori isole italiane a quella
campana si confermano, dunque, le regioni con più difficoltà di rendimento
scolastico: da un recente
studio nazionale sul periodo 2008-2013 è infatti emerso che tra le
prime dieci province con maggiore dispersione di alunni alle superiori figura Caltanissetta (con quasi il
42% di iscritti al primo anno di cui si sono perse le tracce), Palermo e
Catania, Ragusa, Sassari, Cagliari, Napoli e Oristano.
Dovrebbe
quindi far riflettere la scelta del Miur, indotta solo da tassi demografici e
migratori, di tagliare
il prossimo anno a queste tre regioni oltre 900 docenti. Anief
torna a ripetere che i ragazzi che lasciano la scuola sono destinati a
diventare Neet, soprattutto perché vivono in aree del Paese dove il tasso di
disoccupazione è alto e la produzione industriale risulta debole. Quindi, in
quelle zone occorrerebbe assegnare un numero di docenti maggiore. “Laddove è
alto il numero di alunni che lascia la scuola – spiega Marcello Pacifico,
presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – non possono bastare gli
stessi insegnanti previsti altrove. È evidente che occorre assegnare dei
docenti in sovrannumero, per le materie di base, ma anche per quelle
specialistiche, per le lingue e per i casi più difficili, anche in
compresenza”.
“A questo intervento – continua
il presidente Anief – andrebbe aggiunta la riduzione del numero di alunni per
classe. Non si può pensare di creare una classe anche con 30 ragazzi, questi
sono i parametri innalzati nel 2009 dall’ex ministro dell’Istruzione Maria
Stella Gelmini, pensando che l’insegnante abbia la ‘bacchetta magica’. Solo
riducendo il numero di ragazzi, spesso ‘difficili’, si può avere la possibilità
che gli interventi compensativi, mirati al potenziamento delle loro capacità,
possano avere possibilità di successo”.
Il sindacato reputa
indispensabile, quindi, ricondurre le classi tutte al tempo pieno o al monte
ore massimo giornaliero, espandendo le attività progettuali e a supporto della
didattica. L’andamento è purtroppo ben diverso: i finanziamenti che il Miur
assegna anche per questo genere di attività, tramite l’assegnazione dei fondi
al Mof e quindi al Fondo d’Istituto, dal 2011 ad oggi sono stati tagliati di
ben due terzi complessivi, da circa 1 miliardo e mezzo a poco più di 500
milioni da dividere per le oltre 8mila scuole autonome italiane.